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Perché
mi fai soffrire
Giobbe volle parlare dell'amarezza della sua
vita
Inquieta, dispersa creatura in notturna
tempesta, senza margini al sole, nessuna luce,
in nera vela, soffocante tessitura del ragno.
Vissuto, d'ogni gambero pauroso, nel retrocedere
impossibilitato d'avanzare in natura sua cauta.
Marea, buia, avvolge calcificato sguardo in
vento inquieto, a frusciare in albero penetrando
nei sicuri rifugi, sorda campana, lontano, il
tocco della festa, abito smesso, riposto in
angolo della memoria armadio, senza musicale
voce quale tacere faccía, l'uragano. Quel sicuro
covo a scomparir vivendo, aveva trovato comodo
cercando, illusione nella fortuna,passione, che
traesse corpo da inguaribile torpore. La sua
luce sfioriva in pareti oscure, inaridendo occhi
marini seducenti creature. La sua voce alzava
tono gridando: -Supererò il guado viaggiando
solitario, responsabile io solo della vita-.
Gridava nel silenzio, neanche lei udiva sue
parole, fuggendo, da quelle grida nella
profondità dell'antro; senza guardare uscita
dove brillava il sole, appena dietro cortina di
rocce, dipinto con pennellata di coraggio, stesa
su una tela di vita.
Danilo Tomassetti
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